Quando si parla di acqua e di sostenibilità gli aspetti da considerare sono numerosi: prelievo e riutilizzo, inquinamento e depurazione. Se l’uso dell’acqua è una necessità in campo civile, industriale e agricolo, ci sono norme che tutelano la risorsa idrica da rispettare. Ma c’è anche un’ampia zona grigia su cui intervenire: quella dello spreco dell’acqua. E non parliamo qui di quanto possiamo fare a livello di individuale in modo diretto e indiretto, problema grave e risolvibile solo con il diffondersi di una vera cultura dell’acqua. Parliamo di sprechi concreti e tangibili che richiedono interventi altrettanto oggettivi: la dispersione delle reti idriche.
Quanta acqua sprechiamo
L’Italia primeggia in Europa nella triste classifica dello spreco dell’acqua. È un semplice, ma disarmante calcolo: viene prelevata acqua per 428 litri a testa al giorno, ma ne vengono consumati circa 220 litri. Dove finisce l’acqua che manca all’appello? Viene dispersa dalle reti di distribuzione per quasi la metà (il 47,9%). Questa importante perdita di risorsa idrica aggrava ulteriormente la generale situazione di carenza d’acqua dovuta principalmente alla siccità.
Secondo l’ISTAT nell’ultimo rapporto sullo stato delle acque in Italia, il 10,4% delle famiglie lamenta irregolarità nell’erogazione dell’acqua. Ma il dato percentuale generale va analizzato sul territorio: al Sud e nelle Isole sono maggiori i problemi e superiore il numero delle famiglie insoddisfatte dalla fornitura di acqua. Un dato che si rispecchia nell’analisi sulla fiducia nella qualità dell’acqua: superiore al Nord, bassa al Sud. E sono stati 11 i capoluoghi nel 2017 – quasi tutti del Sud – che hanno dovuto convivere con il razionamento dell’acqua.
Una rete idrica vecchia
Il problema principale risiede nello stato della rete che distribuisce l’acqua nel nostro paese, dalle fonti di approvvigionamento ai rubinetti delle case. Le tubature sono vecchie, posate decenni fa (un 25% addirittura è vecchio di 50 anni). È stato calcolato che occorrono 5 miliardi l’anno per rinnovare le reti idriche adeguandole agli standard moderni, anche come impiego di materiali. Di fatto se ne spendono molti meno e di questo passo ci vorrebbero 250 anni per rendere efficiente la rete idrica. L’ONU da parte sua fissa la tutela dell’acqua come un obiettivo cardine di sviluppo sostenibile. E l’Europa non manca di sanzionarci, come per il mancato rispetto delle norme europee in materia di adeguamento delle fogne e dei depuratori, con multe milionarie.
La gestione idrica in Italia
Occorrerebbero dunque un rinnovamento radicale e una manutenzione costante e il problema sembrano essere i costi in relazione all’attuale sistema di gestione. Il panorama italiano dei gestori in Italia è variegato, interamente pubblico o misto pubblico-privato, in misura decisamente minoritaria interamente privato. Una situazione complessa, spesso al centro del dibattito politico.
Uno studio condotto dal CERRE – Centre on Regulation in Europe sostiene che il problema non è nel sistema, se pubblico o privato, ma nella regolamentazione che stimoli i corretti investimenti: la presenza di un organo indipendente, sia dal pubblico che dal privato, sembra essere produttivo in tal senso, come dimostra l’esperienza di molti paesi OCSE.
Cosa possiamo fare allora? Come cittadini e imprenditori possiamo pretendere un’acqua di qualità, gestita in modo responsabile, evitando sprechi insensati. Senza dimenticare di esercitarla noi per primi quella responsabilità, giorno per giorno. Ne va del nostro futuro.