Un impianto di depurazione produce a sua volta scarti. Si tratta dei fanghi da depurazione, il residuo finale che proviene dal trattamento depurativo delle acque reflue urbane ed extraurbane, civili e industriali.
Questi fanghi sono prodotti nelle varie fasi della depurazione e confluiscono nella cosiddetta linea fanghi dell’impianto di depurazione. Tra le varie modalità di smaltimento c’è il riutilizzo dei fanghi in agricoltura, oggetto negli ultimi mesi di un intervento normativo e del confronto di diverse opinioni.
Trattamento e smaltimento dei fanghi da depurazione
Prima di essere smaltiti i fanghi possono subire vari trattamenti per stabilizzare la componente organica, per ridurre la presenza d’acqua e aumentare la componente secca.
A seconda della provenienza e della qualità dei fanghi il conferimento può essere in inceneritore, in discarica per rifiuti speciali o appunto in agricoltura come fertilizzanti.
Smaltimento dei fanghi in agricoltura in Italia
Fra le modalità di smaltimento dei fanghi, in Italia il riutilizzo in agricoltura riguarda circa un 30% dei fanghi prodotti.
Sono ammessi fanghi trattati per stabilizzare le componenti organiche, non devono contenere sostanze nocive o tossiche e rimanere all’interno di determinate soglie per ciò che concerne sostanze come i metalli pesanti.
Al Decreto del 1992 che disciplina il settore, si sono aggiunte le iniziative regionali e un intervento della Cassazione che hanno creato talvolta situazioni conflittuali nella gestione dei fanghi; come di recente in Lombardia, dove si sono create situazioni di stallo negli smaltimenti, riducendo il conferimento in agricoltura e d’altra parte non rendendo possibile ricorrere massivamente a inceneritore o discarica.
Gli ultimi sviluppi
Quello del conferimento dei fanghi in agricoltura è un argomento controverso in quanto si scontra con la tutela dell’ambiente e del suolo, oltre che con la sicurezza dei prodotti agricoli. E negli ultimi mesi la discussione in Italia è stata intensa.
Tale confronto di posizioni differenti si colloca nel quadro di un recente intervento dello stato con l’art. 41 del cosiddetto “Decreto Genova”. Con questa iniziativa normativa sono stati aumentati i limiti ammessi per la presenza di idrocarburi nei fanghi destinati all’agricoltura, nel tentativo di tenere insieme le esigenze di smaltimento e la salvaguardia ambientale. In assenza infatti di un quadro normativo completo, il rischio è appunto quello di stoccaggi eccessivi, anch’essi rischiosi. Tuttavia questi nuovi limiti sono stati criticati dalle associazioni ambientaliste perché aumentano la soglia ammissibile in base alla precedente sentenza della Cassazione del 2017.
Più di recente Alessandro Bratti, direttore generale dell’Ispra (Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale), si è detto critico sull’utilizzo dei fanghi in agricoltura, soprattutto se misti, cioè se provenienti da acque reflue sia urbane che industriali, per il rischio di dispersione di sostanze inquinanti.
Ma, sempre secondo Alessandro Bratti, il quadro normativo è ancora da definire e approfondire, soprattutto relativamente a tracciabilità e controlli. E questo a fronte di paesi europei che hanno deciso di vietare del tutto i fanghi in agricoltura ritenendo che siano più i rischi che i benefici.
Se i fanghi possono essere una risorsa nel riutilizzo, è necessario un quadro complessivo dei reali costi e dei vantaggi che derivano dal loro smaltimento in agricoltura, all’interno di una revisione complessiva del quadro normativo che garantisca sicurezza per le persone e protezione all’ambiente.